Una è autoimmune, 3 forme gravi, possibili cure su misura
(ANSA) – ROMA, 1 Marzo 2018
Il diabete adulto non è una sola ma cinque 'diverse' malattie, con differenti livelli di gravità, differenti età di esordio, differenti caratteristiche metaboliche e anche genetiche; separare il diabete in 5 sottotipi potrebbe permettere di personalizzare le terapie e di prevedere e ridurre al massimo le complicanze. La nuova classificazione è il risultato di uno studio condotto da Leif Groop dell'università di Lund in Svezia e pubblicato su The Lancet Diabetes & Endocrinology. Oggi il diabete si distingue in tipo 2 o insulino-resistente che colpisce l'adulto, costituisce la quasi totalità dei casi (85%), è caratterizzato da una scarsa risposta dell'organismo all'ormone che regola la glicemia, l'insulina; e tipo 1 o giovanile, compare quasi sempre nell'infanzia ed è una malattia autoimmune (il sistema immunitario attacca il pancreas rendendolo incapace di produrre insulina). Lo studio ha analizzato 14.775 pazienti dai 18 anni in su cui era stato appena diagnosticato il diabete. Gli autori hanno tenuto conto di sei caratteristiche dei pazienti: età alla diagnosi, presenza di sovrappeso, capacità di controllare la malattia, funzionamento del pancreas, resistenza all'insulina, presenza di anticorpi autoimmuni contro il pancreas. In questo modo hanno identificato una forma autoimmune e altri quattro distinti sottotipi su base non autoimmunitaria. Delle cinque forme identificate tre sono gravi, la prima - che riguarda l'11-17% dei pazienti - è caratterizzata da grave resistenza all'insulina e rischio molto alto di complicanze renali; la seconda - 9-20% dei pazienti - interessa persone relativamente giovani con carenza di insulina, scarso controllo metabolico ma assenza di reazioni autoimmunitarie. La terza forma grave - 6-15% dei pazienti - è caratterizzata da carenza di insulina ma presenza di reazione autoimmune. I tipi più diffusi di diabete sono i due di gravità più moderata, uno che riguarda dal 39 al 47% dei pazienti e colpisce prevalentemente gli anziani. L'altra, strettamente collegata all'obesità, riguarda dal 18 al 23% dei pazienti. (ANSA).