Quando la pressione torna normale posso smettere di prendere i farmaci?
Pensare che quando la pressione torna normale la terapia possa essere sospesa è sbagliato! La Società Europea di Ipertensione afferma che il trattamento della pressione arteriosa alta (ipertensione) deve durare tutta la vita perché, sia nei soggetti con grave ipertensione che nelle forme lievi, l'interruzione delle cure è seguita dal ritorno della malattia.
Numerosi studi dimostrano che l'aumento della pressione comporta un elevato rischio di danni ad alcuni organi (cuore, vasi sanguigni, reni), con complicazioni (infarto, ictus, insufficienza renale) che possono essere gravi e in alcuni casi mortali (1, 2).
L'ipertensione spesso non provoca disturbi (sintomi): la persona, non sentendosi malata, non comprende la necessità di proseguire il trattamento anche quando i valori pressori tornano normali. I farmaci non curano l'ipertensione, ma abbassano e stabilizzano la pressione arteriosa riducendo la probabilità di pericolose complicazioni. Anche se i cambiamenti della dieta e dello stile di vita possono migliorare in generale la pressione arteriosa, il trattamento farmacologico è spesso necessario e insostituibile. Il successo della terapia a lungo termine dipende dalla collaborazione tra medico e persona ipertesa e, ad oggi, è noto che chi non interrompe le cure ha un rischio ridotto del 37% di infarto, ictus o altri accidenti cardiovascolari rispetto a chi decide di sospendere i farmaci (3, 4). È opportuno segnalare al medico eventuali i disturbi associati alle cure, ma non si deve interrompere o modificare la terapia di propria iniziativa: ciò può comportare improvvisi e pericolosi aumenti di pressione (2).
1. European Society of Hypertension
2. Società Italiana dell'Ipertensione Arteriosa. Linee Guida ESC-ESH 2018 per il trattamento dell'Ipertensione Arteriosa
3. Ministero della Salute
4. Corrao G, Parodi A, Nicotra F, et al. Better compliance to antihypertensive medications reduces cardiovascular risk [Sintesi]. Journal of Hypertension. 2011; 29(3): 610-618