La chiusura dei piccoli ospedali è un danno per la salute?
La chiusura di alcuni piccoli ospedali è una scelta che non porta ad un peggioramento dei servizi sanitari locali; infatti, chiudere le strutture poco efficienti significa reinvestire risorse per le cure territoriali e garantire che i grandi ospedali siano centri di cura specializzati e all'avanguardia.
La proposta di riorganizzazione della rete ospedaliera è stata presentata nel Patto per la Salute 2014-2016 (1), il documento di intesa tra Governo, Regioni e Province Autonome sull'organizzazione dei servizi sanitari. Le motivazioni alla base di questo riassetto organizzativo sono varie e tra le principali ricordiamo, innanzitutto, l’aumento della popolazione anziana (il 21,7% ha più di 65 anni) (2) e delle malattie croniche (il diabete, l'artrosi, malattie cardiache etc.) che determinano la necessità di un'assistenza continuativa. È, quindi, fondamentale che il Servizio Sanitario Nazionale si organizzi per garantire maggiori cure sul territorio e a domicilio.
Dall'altro lato, la scienza fa passi da gigante, scoprendo nuovi farmaci (15 approvati in soli 3 mesi tra gennaio e marzo 2015) (3), costruendo nuovi macchinari e applicando nuove tecniche per curare sempre meglio le persone. Questa innovazione ha un prezzo e alcune piccole strutture ospedaliere non sono in grado di garantire qualità sufficiente sia perché non possono permettersi macchinari innovativi e sia perché non hanno abbastanza esperienza nel trattare alcune particolari malattie. In questo caso riorganizzare significa migliorare l’assistenza per i cittadini, mantenendo e potenziando gli ospedali che possono rispondere al meglio alle esigenze della popolazione.
1. Ministero della Salute. Patto per la Salute 2014-2016, intesa Stato Regioni
2. Disponibile sul sito: Istituto nazionale di statistica (Istat)
3. Disponibile sul sito: European Medicines Agency (EMA)