Introduzione
Le sostanze chimiche sono ormai parte integrante della vita quotidiana: detergenti, pitture e smalti, cosmetici, mobili, prodotti di consumo sono tutti fabbricati a partire da sostanze chimiche o le contengono al loro interno. Inoltre, esse possono essere volontariamente aggiunte anche negli alimenti come additivi, conservanti, coloranti.
Il progresso tecnologico e scientifico in medicina e chimica ha portato molti vantaggi, come testimonia il sensibile aumento nella aspettativa di vita registrato a partire dal secolo scorso. L’assenza per molti anni di politiche di prevenzione, tuttavia, ha portato all'inquinamento ambientale di acqua, aria e suolo e, considerando che alcune sostanze possono entrare nella catena alimentare, anche degli alimenti. A ciò si aggiunge l’esposizione professionale dei lavoratori (ad esempio nell'industria, in agricoltura, in aziende di vario tipo).
La valutazione dell'esposizione è una parte importante del processo di stima dei rischi per la salute e si occupa di misurare o stimare (con modelli teorici) l’entità, la frequenza e la durata dell'esposizione a una sostanza nella popolazione generale o in uno specifico gruppo di individui.
La stima dell’esposizione a un contaminante può essere effettuata combinando la misura della concentrazione della sostanza, in aria, in acqua o in un alimento, con la modalità di esposizione (o scenario). Ad esempio, per un contaminante presente nell'aria si dovrà tener conto della sua concentrazione ma anche del comportamento generale della popolazione (o di comportamenti individuali o di uno specifico gruppo) per quanto riguarda il tempo trascorso in ambienti chiusi e aperti, il tipo e la durata delle attività giornaliere. L’attività fisica, ad esempio, determina la frequenza del respiro e, quindi, la quantità di sostanza inalata che sarà diversa da quella di una persona a riposo. Si parla, in questo caso, di determinazione della dose di esposizione esterna all'organismo, che, nel caso di un farmaco, corrisponde alla dose prescritta dal medico.
Con il biomonitoraggio umano si passa da una stima dell’esposizione esterna alla misura diretta di un contaminante (o dei suoi metaboliti) nell'organismo umano, tenendo conto di variabili che difficilmente si riuscirebbero a considerare, quali le diverse vie di esposizione attive allo stesso tempo (il contaminante può essere presente sia in aria che nel suolo) e le suscettibilità individuali.
Che cosa è il biomonitoraggio
Il biomonitoraggio umano è uno strumento della ricerca scientifica usato sempre più spesso per misurare l’esposizione umana a sostanze chimiche e a inquinanti.
Esso, infatti, consente di misurare la dose interna, vale a dire la concentrazione di sostanze e/o dei loro prodotti di degradazione o metaboliti (indicati come “biomarcatori di esposizione”), direttamente nei tessuti biologici (ad esempio, urina, sangue, latte materno, capelli), integrando tutte le possibili vie e sorgenti di esposizione. Fornisce, quindi, la somma di tutte le possibili esposizioni senza però fornire un’indicazione specifica sulla fonte più rilevante.
Una volta che le sostanze sono venute in contatto con l’organismo possono produrre effetti solo locali (ossia limitati al punto di contatto, ad esempio l’irritazione della pelle) oppure estesi a organi e tessuti (effetti sistemici). Ciò avviene quando sono in grado di entrare nell'organismo (ossia di essere assorbite) e, attraverso il circolo sanguigno, raggiungere il loro bersaglio.
L’assorbimento spesso è molto diverso dalla dose esterna. La sostanza contaminante, inoltre, viene trasformata (o metabolizzata) dall'organismo prima di essere eliminata (ad esempio attraverso le urine).
Conoscere la dose interna della sostanza è molto importante perché gli effetti, sia positivi (nel caso dei farmaci), sia negativi (per un inquinante) dipendono, oltre che dalle caratteristiche della sostanza, proprio dalla dose interna.
La concentrazione di un inquinante nel corpo umano, infatti, è il risultato di:
- esposizione attraverso le diverse fonti, alimenti e bevande, aria, acqua e suolo, prodotti di consumo
- differenti vie di assorbimento, inalatorio, orale e cutaneo
- comportamenti o stili di vita, alimentazione, uso di alcol o fumo di sigaretta, attività fisica
- fattori individuali, inclusi età, genere, condizioni generali di salute (ad esempio, il malfunzionamento del rene diminuisce la possibilità di eliminare alcune sostanze)
- caratteristiche genetiche dell’individuo, alcuni individui assorbono e trasformano le sostanze e le eliminano diversamente da altri
Il disegno dello studio e il trattamento dei dati sono sottoposti all'approvazione di un comitato etico. La raccolta dei campioni da analizzare avviene grazie a volontari che acconsentono a partecipare allo studio e prima di donare sangue, urine o altri tessuti firmano il consenso informato.
Poiché l’obiettivo è raccogliere informazioni sull'esposizione a contaminanti di un gruppo specifico di individui, prima dell’inizio dello studio sono fissati dei requisiti per includerli (criteri di inclusione) o escluderli (criteri di esclusione) dal gruppo da analizzare. Tali requisiti possono riguardare l’età, il genere, la presenza di malattie, l’uso di specifici farmaci. Oltre ai dati ottenuti con l’analisi chimica dei campioni raccolti, gli operatori intervistano le persone volontarie con questionari accuratamente progettati che indagano su una serie di fattori che possono rivelare fonti e percorsi di esposizione come, ad esempio, stile di vita (ambiente di vita, fumo, uso di prodotti per la cura personale, etc.), dieta (preferenze alimentari) e altre caratteristiche personali.
I risultati del biomonitoraggio, fornendo informazioni utili su possibili conseguenze per la salute, possono supportare la scelta di un trattamento medico o indicare la necessità di ridurre l’esposizione a quella specifica sostanza.
Applicazioni
Il biomonitoraggio umano è stato introdotto inizialmente nell'ambito della medicina del lavoro per proteggere la salute dei lavoratori. In questo campo, sono stati sviluppati metodi di misurazione efficaci a partire dal 1960.
Nell'ambito dell’epidemiologia ambientale si è assistito a un progressivo aumento degli studi applicati ad aree ritenute a particolare criticità ambientale per la presenza di impianti industriali, discariche, inceneritori.
La rilevazione di una qualsiasi sostanza nel sangue non indica necessariamente la presenza di malattie a essa associate, ma evidenzia solo che c’è stata una esposizione. A causa della loro presenza nei cibi, nei comuni prodotti di consumo o nell'ambiente, alcune sostanze risultano sempre presenti nell'organismo in quantità misurabile. La comparsa degli effetti dipende dai valori più o meno alti presenti e dalla capacità dell’organismo di eliminare la sostanza stessa, una volta assorbita.
Analogamente, l’assenza di una sostanza in un fluido biologico non significa necessariamente che un individuo non sia mai stato esposto, soprattutto in caso di sostanze che sono eliminate velocemente dall'organismo. Per questo motivo è necessario conoscere quale sia il momento giusto per prelevare il campione da analizzare.
Il biomonitoraggio permette di:
- determinare la dose interna di alcune sostanze, nella popolazione generale
- comparare i livelli di esposizione in diverse popolazioni
- identificare sostanze, per le quali è prioritario intraprendere azioni per limitare l’esposizione e proteggere la salute pubblica
- valutare l’efficacia delle misure, messe in atto per ridurre l’esposizione. Ad esempio, l’efficacia dell’avere bandito l’uso di una specifica sostanza nei prodotti di consumo
- fornire informazioni sull'esposizione, in studi epidemiologici per determinare una relazione tra l’esposizione ed alcuni effetti sulla salute
Tra le sostanze più ricercate e monitorate nella popolazione ci sono gli inquinanti organici persistenti (“Persistent Organic Pollutants”) un gruppo di sostanze diffuse nell'ambiente tra le quali figurano pesticidi (DDT, aldrin, clordano, etc.), prodotti di uso industriale (policlorobifenili, esaclorobenzene, polibromodifenileteri) e sottoprodotti di reazioni di combustione come le diossine (policlorodibenzodiossine e policlorodibenzofurani).
Questi inquinanti sono caratterizzati da un’elevata persistenza ambientale e biologica e da un’ampia gamma di effetti tossici. Possono entrare nelle catene alimentari e, in virtù della loro capacità di sciogliersi nei grassi, possono accumularsi nel tessuto adiposo (grasso) degli organismi e aumentare di concentrazione lungo la catena alimentare in cui i vari organismi dipendono l'uno dall'altro per il nutrimento (ad esempio: alghe, pesci piccoli, pesci predatori più grandi, uomo).
Un’altra categoria di inquinanti a cui è stato applicato il biomonitaggio è rappresentata dai metalli pesanti, come il piombo o il mercurio.
La ricerca della presenza di piombo nel sangue (piombemia), generalmente espressa come microgrammi di piombo per decilitro di sangue, è stato il primo esempio di applicazione del biomonitoraggio sulla popolazione generale. Attraverso questa misurazione è stato possibile dimostrare che i livelli di piombo interni all'organismo sono sensibilmente e molto rapidamente calati dopo l’introduzione della benzina senza piombo. È stato anche possibile identificare, per un adulto, i valori di piombo nel sangue che possono essere ingeriti ogni giorno per chilo di peso corporeo senza avere effetti significativi sulla pressione arteriosa e sulla funzionalità del rene (pari a 0,36 e 0,15 microgrammi per decilitro di sangue, corrispondenti a 1,50 e 0,63 microgrammi di piombo).
Sulla base di queste indicazioni è possibile calcolare i limiti massimi che possono essere presenti in qualsiasi prodotto di consumo, senza determinare rischi per la salute.
L’italia partecipa attivamente, con il coordinamento presso l’Istituto Superiore di Sanità, a un progetto Europeo chiamato HBM4EU (Human BioMonitoring for Europe) che utilizzerà le tecniche di biomonitoraggio umano, armonizzate a livello europeo, per valutare l’esposizione umana alle sostanze chimiche in Europa. Ciò consentirà di comprendere meglio gli effetti sulla salute e migliorare la valutazione del rischio chimico.
Metodologia
Quando si deve iniziare uno studio di biomonitoraggio umano è essenziale utilizzare la giusta metodologia per avere dati utili allo scopo che si vuole raggiungere.
È, pertanto, importante definire:
- numero degli individui da inserire nello studio (grandezza del campione)
- caratteristiche del gruppo (ad esempio, età, genere), per definire i criteri di inclusione ed esclusione e selezionare casualmente il gruppo di individui
- tipo di campione da prelevare (sangue, urine, capelli, saliva), a seconda della sostanza da analizzare
- tempo di prelievo rispetto alla possibile esposizione (ad esempio, alla fine della giornata lavorativa)
- procedure, da documentare per la raccolta, il trasporto, la conservazione, l’analisi e l’eliminazione di campioni biologici di origine umana
- metodi analitici, per determinare la sostanza o i suoi metaboliti nel sangue, urina, capelli o saliva
- metodi statistici, utilizzati per analizzare i dati
Link approfondimento
Alimonti A, Bocca B, Mattei D, Pino A. Biomonitoraggio della popolazione italiana per l’esposizione ai metalli: valori di riferimento 1990-2009. Roma: Istituto Superiore di Sanità; 2010 (Rapporti ISTISAN 10/22)
Istituto Superiore di Sanità (ISS). WOMENBIOPOP - FAQ
Consortium to Perform Human Biomonitoring on a European Scale (COPHES). Human Biomonitoring (Inglese)
Sexton K, Needham LL, Pirkle JL. Human Biomonitoring of Environmental Chemicals: Measuring chemicals in human tissues is the "gold standard" for assessing people's exposure to pollution. American Scientist. 2004; 92(1): 38-45
Government of Canada / Gouvernement du Canada. Human Biomonitoring of Environmental Chemicals (Inglese)
Prossimo aggiornamento: 04 marzo 2022