Introduzione
La malattia di Alzheimer (spesso chiamata semplicemente Alzheimer) è la forma di demenza più comune nella popolazione al di sopra dei 65 anni e comprende circa il 60% di tutti i casi di demenza. Non rappresenta una normale conseguenza dell'invecchiamento, ma si sviluppa a causa di un processo patologico, chiamato neurodegenerazione, che distrugge lentamente e progressivamente le cellule (neuroni) di alcune parti del cervello provocando il deterioramento di tutte le funzioni cognitive (capacità di memoria, di apprendimento, di espressione di concetti, di attenzione, di linguaggio) e la perdita di autonomia (Video).
Si stima che ci siano circa 600.000 persone con Alzheimer in Italia e più di 5 milioni in Europa.
Il principale fattore di rischio è rappresentato dall'aumento dell'età. L'Alzheimer colpisce prevalentemente i soggetti con più di 65 anni, ma esiste una forma molto più rara che si manifesta tra i 40 ed i 50 anni ed è presente nel 5-10% dei malati di Alzheimer.
Sintomi
La progressione dei disturbi (sintomi) causati dall'Alzheimer varia da individuo a individuo e non è ancora possibile prevedere esattamente la velocità di progressione e le caratteristiche della malattia nel singolo paziente (Video).
I disturbi (sintomi) principali che l'individuo percepisce includono:
- difficoltà nella memoria recente, la persona colpita dalla malattia inizia a sperimentare piccole difficoltà nel ricordare nomi o eventi ma anche conversazioni avute poco prima con i propri familiari; tali difficoltà si accompagnano spesso ad apatia (indifferenza) e depressione
- confusione e disorientamento, sensazioni che nel tempo tendono a peggiorare ed alimentano la possibilità di “perdersi” anche in luoghi familiari
- difficoltà di pianificazione, incapacità di giudizio, problemi di linguaggio, disturbi che ostacolano l’organizzazione dei diversi aspetti della vita, la capacità di prendere decisioni e di mantenere un buon livello di comunicazione con gli altri
- cambiamenti della personalità, che si traducono, a volte, in atteggiamenti sospettosi e talora aggressivi
- perdita di interesse per la cura della propria persona
Oltre a compromettere le capacità della mente (deficit cognitivi), la malattia può causare disturbi di natura psicologica e comportamentale quali deliri, allucinazioni, depressione, apatia, agitazione, aggressività, vagabondaggio, affaccendamento.
Nella storia naturale della demenza di Alzheimer, i disturbi psicologici e comportamentali si presentano con una diversa frequenza: depressione, ansia e disturbi della personalità possono addirittura precedere la comparsa della malattia e, comunque, sono più frequenti nella fase iniziale. Altri disturbi quali agitazione, deliri e allucinazioni prevalgono nella fase più avanzata. Tali manifestazioni sono causa di sofferenza e disagio per i malati, rappresentando il motivo più comune del loro ricovero, e per coloro che li assistono (caregiver).
È stato identificato uno stadio intermedio, definito come decadimento cognitivo lieve, in cui le persone presentano problemi di memoria, normali per l'età, che non interferiscono con le attività quotidiane. Le persone anziane con decadimento cognitivo lieve sono potenzialmente a rischio di sviluppare l'Alzheimer.
I malati di Alzheimer hanno una aspettativa di vita media di 8 anni dalla manifestazione dei disturbi (sintomi) ma il periodo di sopravvivenza può variare dai 4 ai 20 anni ed è influenzato dall'età e dalla presenza di altre malattie come, ad esempio, il diabete e l'ipertensione.
Cause e fattori di rischio
Attualmente, la causa dell'Alzheimer non è conosciuta, ma negli anni sono stati identificati diversi fattori di rischio che ne aumentano la probabilità di sviluppare la malattia.
Sulla base delle attuali conoscenze si ritiene che le alterazioni biologiche associate all'Alzheimer inizino 15-20 anni prima che i disturbi (sintomi) siano evidenti. Durante questo stadio, definito preclinico, nel cervello cominciano a comparire i cambiamenti strutturali dovuti alla perdita di neuroni.
Inizialmente, il processo degenerativo coinvolge alcune aree come l'ippocampo, una parte del cervello essenziale nella formazione della memoria, per estendersi successivamente in maniera diffusa alla corteccia cerebrale, la parte più esterna del cervello che controlla e integra le capacità cognitive, i movimenti volontari e le funzioni sensoriali.
Le analisi delle alterazioni dei tessuti (analisi istopatologiche) eseguite nelle persone malate di Alzheimer dopo la loro morte, rivelano una riduzione delle dimensioni di alcune parti del cervello (atrofia cerebrale), un aumento dell'ampiezza dei solchi che lo percorrono e del volume delle cavità presenti al suo interno, i ventricoli. A livello microscopico e cellulare sono presenti alcune alterazioni istologiche caratteristiche, come gli aggregati filiformi di proteina tau e i grovigli della proteina (o peptide) beta-amiloide (Aβ). Anche se non definivamente accertato, si ritiene che l'accumulo di queste proteine sia la causa principale della perdita di neuroni nella malattia di Alheimer.
I fattori di rischio riconosciuti, in grado di aumentare la probabilità che possa svilupparsi la malattia, includono:
- età, la vecchiaia di per sé non causa l'Alzheimer ma rappresenta il maggiore fattore di rischio per la sua comparsa. Infatti, l’Alzheimer si manifesta in una persona su 20 oltre i 65 anni (1 su 100 tra i 65 e 74 anni, 1 su 14 tra 75 e 85 anni e 1 su 5 oltre gli 85)
- genere, il sesso femminile è maggiormente colpito dall'Alzheimer, anche se non se ne conosce ancora il motivo preciso
- storia familiare, solo nel 10% dei casi la malattia si verifica in più individui della stessa famiglia (familiarità). Tuttavia, coloro che hanno parenti con la demenza di Alzheimer mostrano una maggiore probabilità di svilupparla ed il rischio aumenta se la malattia compare nelle diverse generazioni. I geni, le unità ereditarie fondamentali degli organismi viventi, localizzati in esatte posizioni all'interno del DNA, rappresentano il mezzo attraverso cui le caratteristiche ereditarie sono trasmesse all'interno di una famiglia. Dunque, anche i geni e le loro mutazioni, ossia le alterazioni che avvengono nella loro struttura, possono avere un ruolo nello sviluppo della demenza. Studi condotti su circa 600 famiglie nel mondo, hanno rilevato come l'ereditarietà sia un fattore responsabile della trasmissione della malattia nelle varie generazioni. Si tratta dell’Alzheimer di tipo familiare, forma molto rara in cui una mutazione viene “trasmessa” con il DNA da genitore a figlio. Le persone con tali forme tendono a sviluppare la malattia molto presto, intorno ai 30, 40 o 50 anni di età. Studi sulle famiglie colpite hanno dimostrato che la malattia è determinata da una mutazione in uno dei seguenti geni:
- il gene APP: dà le istruzioni per la produzione della proteina precursore dell'amiloide, o APP, presente sul cromosoma 21
- i geni PSEN-1 e PSEN-2: danno le istruzioni per la produzione, rispettivamente, delle proteine presenilina 1 (PS-1) e presenilina 2 (PS-2); questi geni sono presenti, rispettivamente, sul cromosoma 14 e sul cromosoma 1
Nei casi di Alzheimer familiare, il figlio di un genitore malato possiede il 50% di possibilità di ereditare la mutazione.
- sindrome di Down, le persone con la sindrome di Down sono particolarmente a rischio di sviluppare la demenza di tipo Alzheimer. La sindrome di Down è anche detta trisomia 21 per la presenza, nelle persone che ne soffrono, di tre copie del cromosoma 21 anziché due. Ciò determina anche la presenza di una copia in più del gene della proteina precursore dell’amiloide (APP) situata sul cromosoma 21. Una maggiore produzione dell’APP determina una maggiore formazione di placche amiloidi e, per questo motivo, circa il 50% delle persone Down intorno ai 60 anni di età sviluppano la demenza di Alzheimer
- traumi cerebrali
- geni di rischio, la presenza di forme diverse (alleli) di alcuni geni aumenta la probabilità di sviluppare la malattia, pur non essendo condizione necessaria e sufficiente affinché ciò avvenga. Il più conosciuto e studiato tra i geni che aumentano il rischio di sviluppare la malattia di Alzheimer è il gene dell’apolipoproteina E, o APOE, situato sul cromosoma 19. Il gene APOE regola il metabolismo dei grassi (lipidi), incluso il colesterolo, ed esiste in tre differenti forme (alleli): epsilon (e)2, e3 ed e4. Ogni individuo possiede due copie del gene APOE e, quindi, nasce con la possibilità di avere una delle sei combinazioni possibili: e2/e2, e2/e3, e3/e3, e2/e4, e3/e4 o e4/e4. La combinazione APOE e4/e4 è associata con il più alto rischio di sviluppare l’Alzheimer
- malattie preesistenti, la presenza di altre malattie (comorbidità) quali, ad esempio, il diabete, l’ipertensione, l’obesità, può favorire la comparsa dell’Alzheimer
Diagnosi
Non esistono ancora esami specifici per accertare (diagnosticare) l'Alzheimer prima della comparsa dei disturbi (sintomi) (Video). È necessario un attento percorso medico multidisciplinare che includa:
- raccolta dettagliata della storia clinica dell’individuo
- valutazione del profilo neuropsicologico per individuare alterazioni delle funzioni cognitive: memoria, linguaggio, apprendimento, orientamento spazio-temporale
- valutazione complessiva dello stato fisico e neurologico
- indagini strumentali (risonanza magnetica o tomografia computerizzata) per valutare eventuali alterazioni strutturali, in particolare la riduzione (atrofia) di determinate parti del cervello, ed escludere la presenza di altre malattie
Problemi di memoria possono insorgere per numerose cause, non sempre patologiche. Se, tuttavia, tali problemi persistono nel tempo è opportuno rivolgersi al medico di medicina generale. Per accertare (diagnosticare), o meno, la presenza della demenza, il medico potrà ritenere opportuno indirizzare il paziente presso Centri specialistici nei quali sono presenti esperti del settore. Tali strutture, denominate nel passato Unità di valutazione Alzheimer (UVA) e attualmente rinominate, nel Piano nazionale demenze Centri per i Disturbi Cognitivi e le Demenze (CDCD), si pongono come centri di riferimento per la prevenzione, la diagnosi e il trattamento delle diverse forme di demenza; hanno lo scopo di sostenere e accompagnare il malato e i suoi familiari lungo tutto il percorso di cura.
Durante la visita gli specialisti verificheranno le capacità di ragionamento (capacità cognitive) attraverso una serie di domande specifiche. Uno strumento comunemente usato è il Mini-mental state examination o MMSE test, un test neuropsicologico per la valutazione dei disturbi dell'efficienza intellettiva e della presenza di deterioramento cognitivo. Questo test prevede l’esecuzione di alcune attività quali, ad esempio, la memorizzazione corretta di una breve lista di oggetti, l’identificazione corretta del giorno, mese ed anno corrente. Possono essere impiegati anche altri test neuropsicologici per meglio indagare il funzionamento della mente. Tali test non diagnosticano l’Alzheimer ma rappresentano validi strumenti iniziali per identificare le parti del cervello eventualmente coinvolte nei disturbi che la persona lamenta.
È importante una diagnosi precoce della malattia. Infatti, sebbene non possa essere fermata, accertarne la presenza nelle fasi iniziali consente di avere:
- maggiori possibilità di trarre beneficio dal sostegno dei servizi socio-sanitari e dalle cure esistenti
- maggiori opportunità di partecipare alle decisioni sul tipo di cura a cui essere sottoposti e alle scelte future relative alla propria vita come, ad esempio, la gestione delle proprie finanze e gli aspetti legali
- maggiori possibilità partecipare a studi clinici
- più tempo per pianificare il futuro
In Italia è possibile individuare le disponibilità e i diversi tipi di servizi sanitari e socio-sanitari per le persone con disturbi cognitivi e demenze, compreso l'Alzheimer, attraverso la mappa online presente sul sito dell’Osservatorio Demenze. Il sito è stato creato ed è gestito dall'Istituto Superiore di Sanità su mandato del Ministero della Salute; contiene informazioni ottenute tramite il censimento nazionale dell’insieme dei servizi sanitari e socio-sanitari (pubblici e/o convenzionati o a contratto) dedicati alle demenze.
Terapia
Non esiste ancora una cura risolutiva per la malattia di Alzheimer. I farmaci attualmente utilizzati possono migliorare alcuni disturbi (sintomi), ma non sono in grado di rallentare la progressione della patologia (farmaci sintomatici).
Parziali e temporanei miglioramenti, si possono ottenere con l'uso di farmaci sintomatici che regolano i segnali (neurotrasmettitori) che permettono la comunicazione tra neuroni:
- inibitori dell’acetilcolinesterasi (donepezil, rivastigmina, galantamina) inibiscono l'attività dell'enzima acetilcolinesterasi che degrada l'acetilcolina, un neurotrasmettitore coinvolto nei processi di apprendimento e memoria. L'acetilcolina è carente nel cervello delle persone con Alzheimer a causa della perdita di neuroni. Aumentando la disponibilità cerebrale di acetilcolina, questi farmaci possono compensare, almeno in parte, la perdita di neuroni provocata dalla malattia. Possono migliorare alcuni sintomi cognitivi quali memoria e attenzione) e comportamentali (quali apatia, agitazione e allucinazioni). Gli inibitori dell’acetilcolinesterasi sono indicati nelle forme lievi e moderate di Alzheimer
- memantina, inibisce l'azione di un neurotrasmettitore, il glutammato, che nel cervello colpito da Alzheimer influenza negativamente la funzione e la sopravvivenza dei neuroni cerebrali. Questo farmaco può migliorare alcuni disturbi cognitivo-comportamentali della demenza quali deliri, agitazione, aggressività e irritabilità. La memantina è indicata nelle forme moderate e severe di Alzheimer
Va sottolineato che la risposta ai suddetti farmaci varia da persona a persona.
Attualmente sono oggetto di studio o in fase di sperimentazione clinica diverse molecole che agiscono sul meccanismo biologico della malattia e che potrebbero modificarne il decorso. Poiché nel cervello delle persone con Alzheimer si ha un accumulo delle proteine tau e amiloide beta, si sta cercando di capire se molecole in grado di prevenire l’accumulo e l’aggregazione di queste proteine o di favorirne l’eliminazione possano bloccare o rallentare la progressione della malattia, se non addirittura impedirne o posticiparne l’insorgenza. Anche se questo risultato non è stato ancora raggiunto, i numerosi composti in fase di sperimentazione (farmaci sperimentali) vengono oggi studiati negli stadi più precoci della malattia, poiché è possibile che essi mostrino una efficacia terapeutica maggiore se somministrati quando i disturbi cognitivi sono lievi, quindi prima che si sviluppi una demenza grave.
Terapie non farmacologichei
Nel tentativo di migliorare la qualità della vita delle persone con Alzheimer e di chi se ne prende cura (familiari, caregiver e personale delle strutture), i trattamenti non farmacologici sono sempre più utilizzati nella gestione delle manifestazioni della demenza per rallentare il declino delle funzioni della mente e del corpo, e ridurre l’isolamento sociale e i disturbi psico-comportamentali.
Questi includono:
- terapia cognitiva, un insieme di approcci per stimolare le funzioni cognitive e mantenere più elevato il livello di autonomia. Gli obiettivi sono il miglioramento generale del benessere della persona, il controllo dei problemi comportamentali, la riduzione dello stress di chi assiste e la riduzione dell’uso di farmaci
- fisioterapia, può migliorare o stabilizzare le abilità fisiche residue, riducendo il rischio di cadute; può migliorare l’umore, la salute cardiovascolare e la qualità del sonno, contribuendo a rallentare il declino cognitivo
Inoltre, si stanno diffondendo sempre di più interventi che attraverso i gesti, i comportamenti, l’ambiente e la comunicazione permettono di alleviare i disturbi (sintomi) e mantenere più a lungo possibile le capacità residue, cognitive e funzionali, della persona con Alzheimer.
Alcuni di questi interventi possono essere adottati anche in ambito familiare e includono:
- tenere occupata la persona facendogli svolgere attività quotidiane, come preparare la tavola o fare giardinaggio
- terapia dell’animale da affezione (pet therapy), basata sull'interazione tra uomo e anima
- musicoterapia, la musica è in grado di suscitare emozioni anche quando vengono perse le facoltà comunicative
- danza-terapia, utilizza il movimento per allentare le tensioni psico-fisiche, migliorare il rapporto con il proprio corpo e con gli altri
- metodo validation, si basa su un approccio di tipo empatico che aiuta l’anziano a comunicare i propri sentimenti
Anche gli effetti delle terapie non farmacologiche possono variare da persona a persona; con il tempo si impara ad adattarle al proprio familiare o caro, ma è importante consultare sempre un medico.
Prevenzione
Mantenersi attivi sul piano fisico e mentale e adottare stili di vita sani sono le armi più efficaci per ridurre il rischio di ammalarsi di Alzheimer o di altri tipi di demenze:
- esercizio fisico regolare, ha un effetto benefico sull'attività del cervello attraverso diversi meccanismi. Si ritiene, infatti, che l'esercizio favorisca la riserva cognitiva, un termine utilizzato per indicare la capacità di contrastare e compensare i danni cerebrali mantenendo un funzionamento adeguato nel tempo. Ciò avviene attraverso il miglioramento del flusso
- mangiare sano, seguendo la dieta mediterranea ricca in frutta verdure, legumi, cereali integrali, pesce, e impiegando olio di oliva per cucinare, per contrastare l'aumento di colesterolo nel sangue e l’obesità
- evitare il fumo, che può favorire ictus e ipertensione
- controllare i fattori di rischio vascolari come il colesterolo alto, la pressione del sangue alta e il diabete
- stimolare le abilità cognitive, allenando il cervello attraverso l’esercizio della lettura, l’ascolto della musica e le attività sociali
Bibliografia
NIH National Institute of Aging. Alzheimer's disease & related dementias (Inglese)
Istituto Superiore di Sanità (ISS). Osservatorio demenze
World Health Organization (WHO). Dementia (Inglese)
Prossimo aggiornamento: 3 novembre 2022